Pier Virgilio Dastoli - Presidente del Conbsiglio Italiano del Movimento Europeo
MOVIMENTO EUROPEO
CONSIGLIO ITALIANO
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IL PRESIDENTE
Il salario minimo, una pietra miliare sulla via del welfare europeo
Fin dal Trattato di Parigi del 1952 destinato a creare una Comunità del Carbone e dell’Acciaio e di Roma del 1957 destinato a creare un mercato comune era chiaro ai proponenti e ai contraenti che il perseguimento degli obiettivi economici avrebbe dovuto essere strumentale al raggiungimento di vantaggi non solo materiali come quelli della pace e del miglioramento delle condizioni di vita per i popoli delle istituende Comunità europee.
La strumentalità di quei trattati appare già nei loro preamboli in cui la dimensione del progresso economico si accompagna alla dimensione sociale che fu forte e vincolante nel Trattato di Parigi e più generica e proclamatoria nei Trattati di Roma che avevano pur inserito un titolo consacrato alla politica sociale e che prevedeva la parificazione nel progresso (art. 117 CEE), la promozione della collaborazione fra gli Stati membri nel campo sociale (art. 118 CEE), la parità nelle retribuzioni fra uomo e donna (art. 119 CEE), l’equivalenza nei congedi retribuiti (art. 120 CEE), la sicurezza sociale dei lavoratori migranti essendo inteso che si trattava dei cittadini comunitari (art. 121 CEE) e l’analisi dell’evoluzione sociale in un rapporto dialettico con il Parlamento europeo (art. 122 CEE).
La differenza fra il Trattato di Roma e quello di Parigi fu di metodo e dunque di sostanza perché si ritenne a Parigi che la prima Comunità europea si dovesse fare carico delle conseguenze sociali delle regole dei mercati dell’acciaio e del carbone mentre a Roma era prevalsa la convinzione secondo cui il mercato avrebbe realizzato di per sé la parificazione nel progresso, che la dimensione sopranazionale si sarebbe limitata al mercato e che tutto quello che fosse stato collocato al di fuori del mercato sarebbe stato affidato alla buona o alla cattiva volontà di collaborazione fra gli Stati membri.
Non avevano dunque torto Altiero Spinelli, che aveva denunciato inutilmente la “beffa del mercato comune” e che aveva deciso di affidarsi alla mobilitazione cittadina del Congresso del Popolo Europeo, e Jean Monnet che si era illuso sulle capacità intrinsecamente autonome della Comunità europea dell’Energia atomica e che aveva contrapposto al gioco istituzionale del mercato la mobilitazione del mondo del lavoro e della produzione con il primo Comitato per gli Stati Uniti d’Europa.
Abbiamo dovuto attendere cinquanta anni affinché nei trattati ed in particolare nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che è la seconda parte del Trattato di Lisbona firmato nel 2007 come embrionale succedaneo dello sfortunato trattato-costituzionale, si superasse in parte nell’art. 153 il principio e il metodo della collaborazione fra gli Stati membri affidando ad un processo di decisione su un piede di uguaglianza al Parlamento europeo e al Consiglio e con decisioni a maggioranza i settori delle condizioni di lavoro, dell’informazione e della consultazione dei lavoratori, dell’integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro, dell’uguaglianza fra uomo e donna nel mondo del lavoro, della lotta all’esclusione sociale e della modernizzazione dei sistemi di protezione sociale.
Non tutto è oro quello che riluce perché le resistenze dei governi fra cui quello laburista inglese seguace della “terza via” cosiddetta riformista di Tony Blair – dopo aver tentato inutilmente di escludere la dimensione sociale dal futuro costituzionale dell’Europa nella Convenzione presieduta da Giscard d’Estaing – hanno lasciato nelle mani delle decisioni unanimi intergovernative la sicurezza sociale e la protezione sociale dei lavoratori, la protezione dei lavoratori in caso di rinuncia dal contratto di lavoro, la rappresentanza e la difesa collettiva degli interessi dei lavoratori (e dei datori di lavoro) ivi compresa la cogestione e le condizioni di occupazione dei cittadini di paesi terzi con permesso di soggiorno regolare sul territorio dell’Unione.
Questi limitati passi in avanti nella dimensione sociale erano stati del resto anticipati nel 2000 dalla Carta dei Diritti Fondamentali ed in particolare nel titolo sulla “solidarietà” dall’articolo 27 all’articolo 38, la cui redazione più coraggiosa fu dovuta alla determinazione dei sindacati europei e della rete della società civile del Forum permanente da cui nacque l’idea della Carta, che ha ora una natura giuridicamente vincolante e che dovrebbe prevalere sugli articoli corrispondenti del Trattato di Lisbona.
Gli articoli della Carta e l’applicazione del titolo X del Trattato di Lisbona, ed in particolare l’art. 153b sulle “condizioni di lavoro” che comprendono il principio del salario minimo, hanno consentito alla Commissione europea di presentare a ottobre 2020 e all’autorità legislativa di approvare a novembre 2021 la direttiva 2022/2041 di cui è stata ora riconosciuta la legittimità e la conformità rispetto al Trattato dalla Corte di Giustizia nella sentenza dell’11 novembre 2025 respingendo il ricorso del governo danese che aveva votato contro la direttiva insieme a quello svedese e all’astensione del governo ungherese, che ha riconosciuto il valore delle contrattazioni collettive e che è considerata una pietra miliare sul cammino di un più compiuto welfare europeo.
Si tratta ora di verificare le modalità dell’introduzione della direttiva nei paesi che l’hanno accolta e di mettere in mora i paesi che non l’hanno ancora fatto ma che dovevano farlo entro la fine del 2024 per garantire eque condizioni di lavoro per tutti i cittadini europei e per i lavoratori migranti con un regolare permesso di soggiorno in attesa di introdurre nei trattati un nuovo “protocollo sociale di progresso” che superi non solo i ricordati limiti dell’art. 153 TFUE e si adegui ai principi e ai valori della Carta dei diritti fondamentali.
Roma, 18 novembre 2025 Pier Virgilio Dastoli
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